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Vincerà l’antipolitica? Sì, forse, non so
Lo sfondo dello scontro che il nostro direttore ha emblematizzato fra Davide e Golia, laddove i limiti del grillismo e di tutti gli altri sono di tutta evidenza (Raggi docet), a ben vedere è il nostro tempo. Tutto e tutti compresi, specialmente la politica e chi la fa, soprattutto chi non la fa.
Predomina infatti una nube grigiastra sui partiti di governo e di opposizione, tolti i grillini, che non prelude affatto al bel tempo. Ma a un temporale, con esiti non molto distanti dal concetto di devastazione. Il prevalere dell’antipolitica si estende sul luogo della civitas nella misura con la quale sia chi è al governo che chi ne è contro, nella schema sopra indicato, fanno prevalere nel discorso che li contrappone un dato comune a dir poco sconfortante e comunque deleterio: la delegittimazione reciproca. Nel senso e nella direzione che proprio l’antipolitica presume ma, a differenza di Beppe Grillo, chi va in quel senso porta acqua soltanto al mulino dei pentastellati. Cos’è infatti la delegittimazione del proprio avversario se non la negazione in toto della filosofia e della prassi di quella civitas (o polis che si dir si voglia), specialmente quando le accuse reciproche derivanti essenzialmente dalla malapianta del giustizialismo che ha distrutto i partiti si sovrappongono in un climax irrefrenabile, crescendo su se stesso e diventando, a sua volta, antipolitica.
Cosicché ci troviamo di fronte a due esempi, il primo dei quali è l’originale (Grillo) e il secondo (tutti gli altri) la copia. Nel novantanove per cento dei casi la vittoria del primo è scontata. Si assiste da troppo tempo all’accentuarsi della disgrazia dell’antipolitica, intesa soprattutto come delegittimazione dell’avversario, nell’illusione che la valanga accusatoria lo trascini a valle, da solo. Illusione quant’altre mai pia, non tanto o non soltanto perché i due contendenti ne saranno insieme travolti, quanto soprattutto perché il Grillo vincitore sarà, lui sì, la vera disgrazia per il Paese. Quasi ovviamente si indica allo scopo l’esempio della Raggi e delle autentiche “bestialità” commesse, al di là di qualsiasi riferimento giudiziario, ravvedendo nella sua gestione chissà quali sottofondi, sospetti, extra-poteri, manovratori, ecc.. In realtà la Raggi è semplicemente il risultato di una guerra senza tregua e senza il minimo pudore di Grillo e dei suoi aiutanti massmediologici contro i corrotti, tutti gli altri, di destra e di sinistra, con soprammercato l’accusa infernale di mafia incistata nella Capitale.
Ora, non solo questa accusa sembra inabissarsi nell’archiviazione, ma gli stessi comportamenti di non pochi del giro della Raggi paiono quasi lo specchio di quelli precedenti. Ma il vero problema della Raggi resta uno solo e sempre quello: non è adatta alla importantissima e pesantissima carica di primo cittadino, non solo perché non ha mai studiato da sindaco di una grande città ed è “ignorante” di ciò che comporta, ma perché la sua dedizione al verbo di Grillo (ho sentito Beppe, ho parlato con Beppe, e via “beppizzando”) ne fa risaltare, oltre l’ignoranza, l’autentica vena antipolitica mettendo in tutta evidenza i pericoli, in ispecie per i cittadini.
E siamo alla sintesi: fino a quando i partiti anti-M5S nel loro insieme non si ribelleranno allo stesso gioco di Grillo, comprendendone il massacro che li riguarda, non capiranno neppure che la politica è l’unica vera soluzione; la politica intesa come confronto di programmi, come scontro su idee del Paese, come dibattito, anche il più acceso, sulle sorti di un’economia che ha non poche difficoltà, la prima delle quali sta nelle promesse a mani basse fatte da chi è ed è stato al potere. Questa delle bugie vendute come panacea, invece del realismo fondato su una vera rappresentazione dello stato delle cose, non è più soltanto una tecnica propagandistica, ma il contenuto, l’espressione più immediata del prevalere di quella mala, malissima pianta sopraddetta.
Non si può rispondere alle crisi italiane negando i principi stessi della politica usando la tecnica opposta dell’antipolitica. È un gioco al massacro suicida, grazie al quale Virginia Raggi ha vinto a Roma e non è detto che il “suo” Beppe non vinca anche nel Paese. Non si può pensare che l’antipolitica come disprezzo per delegittimare l’avversario possa in qualche modo servire ai diversi da Grillo. Semmai li renderà sempre più simili all’originale. E perderanno.
Paolo Pillitteri - www.opinione.it