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Delocalizzazioni: nessuna legge può obbligare un'impresa a perdere

Delocalizzazioni: nessuna legge può obbligare un'impresa a perdere
Delocalizzazioni: nessuna legge può obbligare un'impresa a tenere aperte attività in perdita.

Un progetto dannoso, economicamente e culturalmenteDopo il “caso Caterpillar” il governo e la maggioranza tornano a discutere del decreto delocalizzazioni. Sono diverse le ipotesi che circolano. Tutte sono accomunate dalla convinzione che il paese debba adottare norme per impedire alle imprese di scappare; senza rendersi conto che, in tal modo, si rende simmetricamente più difficile attrarre nuovi investimenti.

L’idea di fondo, comunque, sarebbe quella di impegnare le imprese – specie se hanno beneficiato di sussidi pubblici – a trovare un acquirente per garantire continuità operativa al sito che intendono chiudere. Sfortunatamente, quella che può apparire in teoria una forma di tutela per i lavoratori è complicata – e dannosa – in pratica. Che sia complicata, lo dimostra il sostanziale fallimento delle norme simili già in vigore: da decreto Dignità alla francese Loi Florange nessun provvedimento simile ha avuto effetti discernibili. Il motivo è che le imprese non licenziano per sadismo: lo fanno se, e quando, un’attività produttiva non è più finanziariamente sostenibile. Non c’è legge al mondo che possa inchiodare un’impresa a mantenere un’attività in perdita. E, se ciò fosse possibile, finirebbe per spingere nel burrone anche le altre attività della medesima impresa, creando così un danno occupazionale molto più esteso.

Ma il tentativo di vietare le chiusure (motivate dalla volontà di delocalizzare o da altro) è anche, e soprattutto, dannoso, economicamente e culturalmente. Economicamente perché il rischio è quello di disincentivare le imprese (italiane ed estere) a investire nel nostro paese, per timore di doversi accollare costi eccessivi nel caso in cui le cose andassero male. E dannoso culturalmente, perché si tratta, in pratica, di un modo per scaricare sui privati funzioni tipicamente pubbliche: offrire sostegno, formazione e riqualificazione ai lavoratori è il cuore di quelle politiche attive del lavoro che tutti invocano ma che, poi, non si riesce a disegnare in modo efficiente. E, dunque, invece di concentrarsi sul far funzionare bene lo Stato, si finisce per imporre alle imprese vincoli e obblighi insostenibili.

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